Il tema del comportamento è indissolubile dal tema dell’azione, del vivere, della vita.
Se cerchiamo il suo significato, il dizionario Treccani enuncia:
comportaménto s. m. [der. di comportare]. – 1. In generale, modo di comportarsi di una persona, soprattutto in determinate situazioni, nei rapporti con l’ambiente e con le persone con cui è a contatto: tenere un buon c., un c. corretto, un c. irreprensibile; il c. del datore di lavoro verso i suoi dipendenti; il c. tra colleghi di lavoro; il suo c. m’è parso molto strano. In senso più ampio, e riferito a persona singola o a gruppi di persone, il modo di condursi rispetto a decisioni da prendere, a soluzioni da dare a questioni specifiche, e simili.
Dal punto di vista etimologico si parla invece dell’azione di comportare, dal latino comp. di cum “insieme” e portare nel significato complessivo di “procedere d’accordo” e quindi “modo d’agire”.
E’ interessante questa accezione che rimanda allo “insieme” al “complessivo” quasi si trattasse di un’azione, di un percorso, da intraprendere “con altri”.
Diventa allora appassionante ricercare, nel mondo del lavoro, perché si attivano certi comportamenti, molte delle volte inspiegabili, che portano agli infortuni, ancora troppo numerosi e gravi.
Siamo tutti d’accordo, seguendo i classici e numerosi studi sulla materia che vi sono diversi elementi che costituiscono il pericolo e quindi il rischio e quindi il conseguente relativo infortunio. I più classici elencano e parlano di “ambiente”, di “attrezzature di lavoro”, di “uomo”, e queste categorie troppo spesso vengono presentate come categorie a sé stanti, e troppo spesso ingegnerizzate entro ambiti specifici e stagni tra di loro.
L’ambiente di lavoro deve essere sicuro e sano così come le attrezzature di lavoro devono essere sicure nel loro utilizzo; questo è il punto di partenza.
Vorremmo però, con questo piccolo articolo sul comportamento, cercare umilmente di sollevare l’attenzione su questo termine (il comportamento) che ha numerosi punti di contatto con le classiche e citate categorie, alcuni più forti alcuni meno ma tutti molto importanti. Le azioni (e quindi i comportamenti) hanno a che fare con l’ambiente e con le attrezzature di lavoro, anzi non possono essere separate.
Non si vuole né banalizzare, né generalizzare, né ricondurre qui in questo modesto lavoro la valutazione comportamentale di un lavoratore (sia esso dipendente o no) nella complessa procedura per individuare il nesso di causalità e quindi all’attribuzione della responsabilità (a parte i casi eclatanti sulla palese mancanza di sicurezze in generale) di un evento infortunistico, responsabilità la cui individuazione necessita sempre e comunque approfondita e precisa analisi caso per caso. Sentendo però la cronaca legata ad alcuni infortuni sul lavoro, mortali, dell’ultimo periodo, laddove ad esempio si cita:
- Veniva colpito da elementi di ponteggio mentre scaricava un camion;
- Veniva schiacciato dal trattore ribaltatosi;
- Saliva sul tetto e sfondando il lucernario cadeva nel vuoto;
Ci si chiede: sono le protezioni che mancavano in questi contesti o, forse, il comportamento ha giocato un ruolo fondamentale?
Beninteso che quando si parla di comportamento, il termine porta con sé il know how della persona, la sua conoscenza e competenza, la sua formazione ed informazione, il suo addestramento, la sua percezione del pericolo, la sua “valutazione” del possibile rischio ma anche la sua capacità di fermarsi e, ragionando, “prelevare” dal suo cassetto mentale della conoscenza quegli elementi utili per farlo desistere da usare una tal macchina insicura o dal portarsi in palesi e ormai conosciute condizioni di grande pericolo.
Di fronte a certe situazioni lavorative che riscontriamo tutti i giorni e ancor di più di fronte ad infortuni gravi che vengono indagati, sempre di più ci si pone la domanda se la obbligatoria formazione sulla sicurezza sul lavoro, così come troppo spesso somministrata nelle aule da sempre più numerosi e patentati esperti, abbia effettivamente ricadute sul lavoratore e sulla sua capacità di assumere un corretto comportamento.
Seppur non suffragati da dati statistici, ma facendo mente locale a numerosi infortuni sul lavoro, possiamo pur dire che spesso, troppo spesso, la formazione d’aula non ha inciso qualitativamente sui comportamenti i quali, talvolta assunti ripetutamente a volte più o meno istintivamente, hanno condotto agli inaccettabili infortuni di cui i mass media si interessano a singhiozzo e parte delle Istituzioni utilizzano saltuariamente in ragione di fini non conosciuti.
Parrebbe ragionevole che, una volta costruita una almeno buona se non solida cultura della sicurezza, la formazione sulla sicurezza sul lavoro dovrebbe essere somministrata “sul campo” di fonte a problemi e situazioni specifiche, con esempi semplici e facilmente assimilabili da parte di tutti i lavoratori (ponendo da parte in questo articolo la tematica dell’apprendimento della lingua italiana da parte di persone straniere) e non enunciazione di articoli giuridici a persone che mal conciliano lo stare a sedere ripetute ore in un’aula scolastica. O almeno, che all’aula segua una “sosta” nel reale reparto, luogo, postazione di lavoro. Reparto, luogo, postazione, i soli spazi che possono fornire un valore aggiunto nell’apprendimento della sicurezza perché solo là si concretizza l’opera del lavoratore ed il suo essere lavoratore.
E’ bello allora pensare che quell’insieme di “cassetti mentali” pieni di conoscenza, derivino da un vero ed efficace “procedere d’accordo – modo d’agire” sopra richiamato, costruito nel tempo, nei vari ambiti da quello scolastico a quello di vita e lavorativo, il solo capace di costruire la cultura della sicurezza, molte volte evocata ma troppo volte citata a sproposito o ancor più grave per meri fini politici, laddove all’enunciazione non segua un’effettiva intelligente azione di intervento che preservi la sicurezza e la salute.